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Lettere 2.0: “Viaggio (da Milano) nella sanità calabrese. La mia vita col Covid presso l’ospedale di Cetraro.”

Riceviamo dal nostro lettore Giuliano:

 

 

È il 26 aprile, sono a Cosenza da quattro giorni e ho la notizia che nessuno vorrebbe avere, sono positivo al Covid.

È opportuno precisare che mai durante il lungo percorso della malattia mi sono preoccupato di essere in Calabria e non nella mia Milano, epicentro dell’eccellenza (?) lombarda.

Il primo passaggio è all’Annunziata di Cosenza, non ricordo cosa pensassi arrivando al triage, probabilmente non pensavo. L’accoglienza al pronto soccorso è il primo segnale di ciò che sarà una costante per tutto il periodo della malattia: l’attenzione e la cura amorevole per il paziente.

Mi accolgono persone completamente bardate di cui riesci a vedere solo gli occhi e a sentire la voce. Bene, gli occhi di queste meravigliose persone ti dicono, ti gridano “so che hai paura, ma devi stare tranquillo, noi siamo qui per te. Sei nelle nostre mani, sei in mani buone”.

Il tono della voce è il medesimo.

Dopo qualche giorno dal pronto soccorso Covid dell’Annunziata sono trasferito all’ospedale di Cetraro. Anticipo sin da ora che l’esperienza vissuta nel reparto Covid dell’ospedale di Cetraro mi ha toccato profondamente nel cuore. Il mio stato emotivo è stato sottoposto a sollecitazioni positive fuori dal comune.

L’intero organico del reparto è composto da persone meravigliose, toccate da una grazia speciale. Mi riferisco allo staff medico, agli infermieri, agli operatori socio sanitari, alle persone addette alla pulizia delle camere.

Preciso che sono arrivato a Cetraro con una polmonite bilaterale interstiziale superiore al 50%. Le competenze mediche e la professionalità sono attestate dalle soddisfacenti condizioni di salute con le quali sono stato trasferito presso un centro di riabilitazione a Milano.

Ho ricevuto un’assistenza sanitaria da soggetti dotati di competenze e professionalità di prim’ordine. Ora tocca a me, nel centro di riabilitazione, portare a termine il percorso.

La degenza a Cetraro mi ha fatto ricordare quanto sia liberatorio piangere per la commozione. I gesti, le attenzioni, la compagnia riservate in maniera continuativa dal personale dell’ospedale mi hanno commosso.

Le visite mediche, ripetute nel corso di una stessa giornata, erano un’occasione per parlare reciprocamente di se stessi, della propria vita, della propria famiglia, dei propri interessi. I medici non hanno mai dimenticato di avere di fronte delle persone, delle persone smarrite.

La mia riconoscenza, la mia gratitudine va, nella forma massima, anche agli infermieri e agli operatori socio sanitari. Ho la prova empirica che mai, nel corso delle innumerevoli occasioni in cui sono stato ricoverato durante i miei sessanta anni, ho ricevuto un’assistenza così attenta, professionale e affettuosa.

Ad inizio e a fine turno medici, infermieri e operatori passavano a salutare, a chiedere se avessimo bisogno di qualcosa. Queste ragazze, questi ragazzi ci hanno accudito con lo stesso atteggiamento amorevole che ciascuno di noi riserverebbe a un proprio genitore, a un proprio figlio, a un proprio fratello.

Ho versato lacrime che sentivo dolci quando una ragazza che il giorno successivo si sarebbe trasferita in altro ospedale ci ha salutati scrivendo sulla tuta parole tanto semplici quanto potenti: “vi amo”, corredato da cuori rossi.

Ci ha portato due pezzi di pizza, ha pensato al ristoro psicologica e a quello materiale.

Altre ragazze, autonomamente, visto che avevo terminato i tovaglioli umidificati e rotto lo spazzolino da denti, me li hanno comprati.

Nonostante la disavventura del Covid, le paure che ha portato, i disagi per me e per mia moglie, ritengo di essere stato fortunato. Fortunato a fronte delle sofferenze che sta subendo il mondo intero.

Fortunato perché ho avuto la possibilità di incontrare persone meravigliose.

La malattia mi ha lasciato una speranza nei confronti dell’umanità, escludo che la meraviglia che ho trovato a Cetraro sia una rara eccezione, frutto di particolari congiunzioni astrali.

Quella di Cetraro è l’umanità, una parte per essere più precisi, la maggioranza dell’umanità per essere ancora più precisi e ottimisti.

Prima di chiudere, una riflessione sul futuro del personale in vista delle imminenti dismissioni dei reparti Covid.

Nel reparto Covid dell’Ospedale di Cetraro, ormai dismesso, oltre agli infermieri di ruolo assegnati temporaneamente, c’erano infermieri a tempo determinato, c’erano operatori sanitari reclutati ad hoc come co.co.co. per tre mesi.

Mi piacerebbe che la Regione Calabria, ricorrendo ad un concetto di riconoscenza e di giustizia sostanziale, voglia regolare queste situazioni di precarietà.

Le competenze, le capacità professionali, la voglia di lavorare, la predisposizione per svolgere una missione le hanno dimostrate. Credo che sarebbero pronti a superare qualunque prova selettiva.

L’ultima notazione riguarda lo straordinario affiatamento che legava i lavoratori, sempre pronti ad intervenire per dare una mano al collega impegnato col paziente. Affiatamento finalizzato ad assicurare il maggior benessere per il paziente.

Concludo dicendo che è quasi impossibile esprimere a parole il profondo senso di riconoscenza, di gratitudine che provo per l’assistenza, l’affetto, l’amore che mi è stato donato.

Ci provo nella maniera più banale: “Grazie di cuore”.

Giuliano Giovanni Menga